L’Arcadia in Brenta, libretto, Bonn, Rommerskirchen, 1757

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Deliziosa.
 
 Tutti a sedere, cioè il CONTE in mezzo, madama LINDORA alla dritta, GIACINTO presso FORESTO vicino a LAURETTA e FABRIZIO da un lato, arrabiatto per non esser vicino ad alcuna donna
 
 CONTE
 Dai lacci neghitosi del silenzio
 scatenando la lingua,
 qual monarcca di dive e semidei,
390do glorioso principio a' cenni miei.
 FABRIZIO
 Signor principe caro,
 il povero Fabrizio
 gli manda un memorial, con cui lo prega
 comandar ai pastor che per servizio
395lascino qualche ninfa anco a Fabrizio.
 CONTE
 Giuste le preci son ma non è giusto
 delle ninfe arbitrar. Quella sia vostra
 che inclinata e proclive a voi si mostra.
 FABRIZIO
 Tutte vorranno me.
 LINDORA
                                      Sarei contenta
400se del signor Fabrizio
 foss'io la ninfa eletta
 ma non vuo' disgustar la mia Lauretta.
 LAURA
 Eh! No, giacché vedo
 che a voi piace quel viso, io ve lo ciedo.
 FABRIZIO
405E fra due litiganti il terzo goda.
 Io sarò di madama,
 se mi vuol, se mi brama.
 LINDORA
 Vi domando perdono,
 non mi vuo' scommodar di dove sono.
 FABRIZIO
410Dunque dovrò star senza?
 GIACINTO
 Voi dovete soffrire.
 FORESTO
                                      E aver pazienza.
 FABRIZIO
 (Maledetti! Mi mangiano le coste,
 a penar mi conviene.
 Or sì che i miei denar gli spendo bene).
 CONTE, GIACINTO, FORESTO
415Viva il signor Fabrizio!
 Si rallegriam con lei. (Tutti si alzano)
 FABRIZIO
 Che siate maledetti tutti sei.
 
 Aria
 
    Corpo del diavolo!
 Parmi un po' troppo.
420Che! Sono un cavolo?
 Son gentiluomo
 del mio paese,
 io fo le spese,
 io son padrone.
425Che impertinenza!
 Che prepotenza!
 Come? Che dite?
 Eh! Padron mio,
 basta così.
 
430   La vuo' finire,
 me ne vogl'ire.
 Signore ninfe,
 gnori pastor.
 
 SCENA II
 
 Conte BELLEZZA, madama LINDORA, LAURA e FORESTO
 
 CONTE
 Deh! Madama, (A Lindora)
435andiam per questi deliziosi colli,
 co' vostri bei colori
 la vil bellezza a svergognar de' fiori.
 FORESTO
 (Che parlar caricato!) (A Giacinto)
 GIACINTO
 (E pur così affetato
440vi dovrebbe piacer).
 LINDORA
                                        (Per qual ragione?) (A Giacinto)
 GIACINTO
 (Piace alle donne assai l'adulazione). (A Conte)
 CONTE
 Concedete ch'io possa
 regger col braccio mio... (A Lindora)
 LAURA
 Eh! Signor conte mio,
445lei parte con madama,
 Rosana se n'andrà col suo Giacinto
 ed io resterò sola?
 Lei di cavaleria non sa la scola.
 CONTE
 Ha ragion, mi perdoni,
450io son un mentecatto, io son un bue.
 Servirò, se il permette, a tutte due.
 LAURA
 Se madama l'accorda...
 LINDORA
                                             Io nol contendo.
 LAURA
 Io son contenta e le sue grazie attendo.
 CONTE
 Eccomi. Favorisca. Faccia grazia.
455Su l'umil braccio mio poggi la mano.
 LAURA
 Caminate più presto.
 LINDORA
                                          Andate piano.
 GIACINTO
 (Son godibili assai.
 Più grazioso piacer non ebbi mai).
 LAURA
 Ma via, non vi movete?
 CONTE
                                             Eccomi lesto.
 LINDORA
460Non andate sì presto;
 di già voi mi stroppiate.
 LAURA
 Con questo andar sì pian, voi m'ammazzate.
 (Oh belli!)
 GIACINTO
                       (O cari!)
 CONTE
                                          (Io sono
 nel terribile impegno). Via, madama,
465un tantinin più presto.
 Eh, via, cara signora, (A Laura)
 un tantinin più piano.
 LAURA
 Più piano di così? Mi vien la morte.
 LINDORA
 Vi dico ch'io non posso andar sì forte.
 
 Aria
 
 CONTE
 
470   Questa forte e quella piano,
 l'una tira e l'altra mola;
 non so più cosa mi far.
 Favoriscano la mano,
 anderò come potrò.
 
475   Forti, forti, saldi, saldi,
 vada pur ciascuna sola.
 Io gli sono servitor.
 
    Che commanda? Eccomi qui.
 Ch'io la servi? Eccomi pronto.
480Caminiam così, così.
 Troppo forte? Troppo piano?
 D'incontrar io spero invano
 di due donne il strano umor.
 
 SCENA III
 
 GIACINTO, LINDORA, LAURETTA
 
 GIACINTO
 Ah ah, che bella cosa!
485(Cosa invero piacevole e gustosa!)
 LAURA
 Madama, andate pian quanto volete,
 per non venir in vostra compagnia,
 vi faccio riverenza e vado via. (Parte)
 LINDORA
 Oibò? Correr sì forte
490non convien per certo ad una dama.
 Affettar noi dobbiam, per separarci
 dalla gente ordinaria,
 una delicatezza estraordinaria. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 GIACINTO solo
 
 GIACINTO
 Purtroppo è ver che s'introduce il foco
495d'amor ne' nostri petti a poco a poco.
 Queste villeggiature,
 in cui sì francamente
 tratta e conversa ognun di vario sesso,
 queste cagionan spesso
500nella stagion di temperati ardori
 impegni, servitù, dolcezza, amori.
 
 Aria
 
    Tenta invano con folti vapori
 d'offuscare la terra anche il sole,
 ei tramanda più ardenti gli ardori
505fra le nubi con vivo splendor.
 
 SCENA V
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
 Tutto va ben. Lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch'io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
 un qualche segno di pietoso amore!
 LINDORA
510Signor Fabrizio. (Di lontano)
 FABRIZIO
                                  (Questa, a dir il vero,
 mi par troppo flematica).
 LINDORA
                                                 Non sente?
 Signor Fabrizio. (Come sopra)
 FABRIZIO
                                  (E pure, se mi volesse,
 io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
515Si... gnor Fa... bri... zio. (Con cariccatura)
 FABRIZIO
                                              Oh cielo! Mi perdoni!
 Non l'avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta infiata;
 quas'in petto una vena m'è creppatta.
 FABRIZIO
520Cancaro. Se ne guardi,
 favorisca.
 LINDORA
                     M'aiuti.
 FABRIZIO
                                      Eccomi lesto.
 LINDORA
 Non mi tocchi.
 FABRIZIO
                              Perché?
 LINDORA
                                               Son tenerina.
 FABRIZIO
 Impastata mi par di ricottina.
 LINDORA
 Ahi, son stanca.
 FABRIZIO
                                S'accomodi, madama.
 LINDORA
525Sederei volontier ma questa sedia
 è dura indiavolata.
 Sul morbido seder son avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Dico pian, non tema. Ehi reca tosto
 una sedia miglior. (Viene il servo. Il servo va e torna con una sedia di damasco)
 LINDORA
                                     Molt'obbligata.
 FABRIZIO
530Sieda qui, starà meglio.
 LINDORA
                                              Oibò, è sì dura
 cotesta imbottitura
 ch'io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
 Porta la mia poltrona.
 LINDORA
535Compatisca, signor.
 FABRIZIO
                                       Ella è padrona. (Torna il servo colla poltrona)
 Eccola, se ne servi.
 LINDORA
                                     Oh! Peggio, peggio.
 No no no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
 Eh! Corpo d'un giudio,
540ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
 La sedia ed il guanciale,
 quell'odor di vacchetta ahi mi fa male! (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccole un matarazzo;
 di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest'è un strappazzo,
545lo conosco, lo so; no, non credevo
 dover soffrir cotanto;
 ahi, che mi vien per il dolore il pianto.
 
 Aria
 
    Voglio andar... Non vuo' più star,
 più beffata esser non vuo',
550signorsì, me n'anderò.
 Sono tanto tenerina
 ch'ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
 che m'ha fatto lagrimar.
 
555   Se sdegnarmi almen sapessi,
 vendicarmi or io vorrei.
 Ma senz'altro morirei,
 se m'avessi ad arrabiar.
 
 SCENA VI
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può, corpo del diavolo
560non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
 il principe d'Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all'improviso
 stassera una comedia.
 FABRIZIO
                                           Io non ne so.
 FORESTO
 Non temete, ch'io vi contenterò.
565Il conte ha destinato
 di far da innamorato;
 da innamorata dovrà far madama;
 Lauretta fa la serva,
 io fo da genitore
570e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
 Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far! Quest'è un mestiere
 ch'è difficile assai,
 per far ridere i pazzi
575non vi vuol grand'ingegno
 ma far rider i savi è grand'impegno.
 FORESTO
 Già s'avvanza la notte,
 andatevi a vestir, ch'io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò.
580Mi dispiace il parlar all'improviso.
 Se fosse una comedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
 dicendo che il poeta è un ignorante. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
585gettar la colpa su la schiena altrui.
 Se un'opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
 quel ch'ha fallato è il mastro di capella».
 E questo d'aver fatto
590gran musica si vanta,
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l'impresario,
 senza saper qual siane la cagione,
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
 Aria
 
595   Impallidisce in campo
 anche il guerier ferroce
 a quella prima voce
 che all'armi lo destò.
 
    D'ardir  non è diffetto
600un'ombra di timore
 che nel fuggir dal petto
 sul volto si fermò.
 
 SCENA VIII
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella; LAURETTA da Colombina, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccome cà.
 CONTE
 Siccome un'atra nube
605s'oppone al sole e l'ampia terra oscura,
 così da quelle mura
 coperto il mio bel sol, cui l'altro cede,
 l'occhio mio più non vede, ond'è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
610Tu me parle tidisca, io non t'intendo.
 CONTE
 Fedelissimo servo,
 batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 CONTE
 Finger dei che vi sia.
615Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
 come i comici fanno alla comedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme na grazia;
 pe che da tozzolare aggio alla porta?
 CONTE
620Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Cà sulla strada?
 CONTE
 È ver, non istà bene
 che facciano l'amor sopra la strada
 civili onesti amanti
625ma ciò sogliono usar i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
 quando ho battuto io, batesse a me?
 CONTE
 Lascia far, non importa, io son per te.
 FABRIZIO
 O de casa.
 LAURA
                      Chi batte? (Di dentro)
 FABRIZIO
                                            Son io.
 LAURA
630Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 CONTE
                                               Chi siete voi,
 quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 CONTE
 Di Diana cameriera?
 LAURA
635Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 CONTE
                                       Deh vi prego,
 chiamatela di grazia.
 LAURA
                                         Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
 vienence ancora tu,
640ch'a nce devertarimo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l'usanza,
 se i padroni fra lor fanno l'amore,
 fa l'amor colla serva il servitore.
 
 Aria
 
    Il padron colla padrona
645fa l'amor con nobilità.
 Noi andiamo giù alla bona
 senza tanta civilità.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
650Noi diciam senz'altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene»;
 e facciamo presto presto
 tutto quel che s'ha da far.
 
    Dicon lor ch'è un gran tormento
655quell'amor che accende il core;
 diciam noi ch'è un gran contento
 quel che al cor ci reca amore.
 Ma il divario da che viene?
 Perché han quei mille riguardi;
660noi diciam quel che conviene
 senza tanto sospirar. (Si retira fingendo chiamar Diana)
 
 CONTE
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceresti, o Menarella?
 CONTE
 Ecco vienne quel bel che m'innamora.
 FABRIZIO
665Con essa vienne Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 CONTE
 Venite, idolo mio,
 venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.
 CONTE
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
670Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
 Ah tu si' la mia bella. (A Laura)
 LAURA
 Ah voi siete il mio caro Pulcinella.
 CONTE
 A voi donato ho il core. (A Lindora)
 LINDORA
 Ardo per voi d'amore.
 FABRIZIO
675Per te me sento lo Vesuvio in pietto. (A Laura)
 LAURA
 Cotto è il mio core al foco dell'affetto.
 
 Quintetto
 
 CONTE
 
    Vezzosetta, mia dileta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia caretta.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
680Pulcinella bello mio.
 
 LINDORA
 
 Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po' abbracciar. (Viene Foresto da Pantalone)
 
 FORESTO
 
    Ola, ola! Cossa feu?
685Abbrazzai? Cagadonai!
 Via caveve, via de qua!
 
 LINDORA
 
    Io m'inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padrone.
 
 CONTE
 
 Riverisco mio signore.
 
 FABRIZIO
 
690Te so' schiavo, Pantalone.
 
 FORESTO
 
 El ziradonarve attorno,
 tutti andeve a far squartar.
 
 CONTE
 
    Vuol ch'io vada?
 
 FORESTO
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
 Vado anch'io?
 
 FORESTO
 
                             Mi v'ho mandato.
 
 CONTE
 
695Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
 Anderò con Menarella.
 
 LINDORA
 
 Io contenta venirò.
 
 FORESTO
 
 Via, tiolé sto canelao.
 Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
700   Signor padre, per pietà. (S’inchinocchia)
 
 LAURA
 
 Gnor padron, per carità. (Fa l’estesso)
 
 CONTE
 
 Deh vi supplico ancor io. (Fa l’estesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio. (Fa lo stesso)
 
 FORESTO
 
 Duro star no posso più.
705Via mattazzi, levé su.
 
 A QUATTRO
 
    Io vi prego.
 
 FORESTO
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
 Vi scongiuro.
 
 FORESTO
 
                           Vennì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
 Alla fin son venezian.
710M'avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
 Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
    Viva, viva il dolce affetto;
 viva, viva quel diletto
 che produce un vero amor,
715che consola il nostro cor.
 
 Fine dell’atto secundo